Zongo è un posto sperduto. Al centro dell’Africa. Proprio all’Equatore, quella linea che divide il mondo e ci facevano studiare un casino a scuola insieme a meridiani, paralleli, poli sud e nord.
Ci sono arrivato da qualche ora, sopra una barca di legno a remi, una di quelle piroghe che si vedono nei film. Il sole picchia e già mi sono ustionato la faccia.
Da lontano vedo la sponda della Repubblica Democratica del Congo.Sulla riva un sacco di africani: chi pesca, chi si lava, chi fa il bucato. Tra tutto quel “nero” un bianco accecante: Suor Maria Concetta delle Figlie di San Giuseppe di Genoni, che dalla Sardegna oltre 40anni fa è arrivata in Africa. Con lei e dopo di lei c’è stata una vera “invasione” di altre suore sarde.
Suor Maria mi porta subito alla missione: dove ci sono un improvvisato centro sanitario e anche delle scuole materne ed elementari. Scendo dalla macchina. Vedo una folla! Ma quanti sono? 100, 200, 500 bambini. Bellissimi! Iniziano a gridarmi benvenuto e a saltarmi intorno. Non sento più niente: la stanchezza del viaggio, i 40 gradi, il sole a picco e l’umidità. Siamo io e loro: il resto del mondo è scomparso.
Dopo qualche ora Suor Maria, insieme a soleterre onlus con cui sono partito, mi accompagna in giro per i villaggi! Mi sembra di tornare indietro nel tempo. 15 anni fa quando ho vissuto in Africa.
È un istante e tutto mi ritorna familiare: le capanne di paglia, la terra rossa, le strade senza fine, gli uomini con il machete nei campi, le donne ai mortai o con in testa la cesta piena di frutti da vendere al mercato. Ma come fanno a tenere tutto quel peso? Ma sono troppo fighi gli africani!!!! Io non ci riuscirei mai.
Inizio a chiacchierare con loro e a conoscere meglio alcune famiglie che mi raccontano dei problemi di salute dei figli. Molti di questi bambini potranno essere curati grazie all’ospedale mobile che porteremo con Fabbrica del Sorriso.
Faccio finta di niente, ma penso che qui anche la malattia più banale ti può ammazzare. Sento dentro un bel po’ amarezza. In fondo è solo una questione di fortuna che noi siamo nati molto sopra l’equatore . Ma siamo qui per migliorare le cose, a portando 2 sale operatorie, 1 sala rianimazione, medici: il bambino con i piedi torti tornerà a camminare da solo; la bambina con gli occhi gonfi, quasi completamente chiusi, e tormentati da mosche vedrà ancora bene; il bimbo con il lipoma sarà operato!
Nei giorni seguenti continuano i giri tra i villaggi. Un giorno mi metto al volante, tra strade dissestate, fosse, buche e quant’altro, l’Africa mi corre incontro: è una figata e soprattutto mi fa star bene.
Visito l’unico ospedale pubblico della zona. Qui la situazione sanitaria è drammatica. Un bambino su cinque muore prima dei 5 anni e la gente in media vive sino a 46 anni. Cioè se fossi di Zongo… tra un po’ creperei. Meglio essere scaramantici.
Torno a guardare l’ospedale: è un posto assurdo, Muri diroccati e sporcizia in ogni dove. Non c’è acqua né luce. E fin lì tutto è accettabile, ma senza farmaci, sale operatorie, medici, come si fa? Proprio il posto dove uno pensa: “Se mi viene qualcosa, mi faccio ricoverare qui!” Gli stanzoni sono bui e nei letti praticamente attaccati ci sono casi di tutti i tipi: neonati, bambini con meningite, mamme ammalate! L’odore che c’è dentro mi prende alla gola. Esco.
Il giorno dopo Suor Maria e Soleterre mi presentano delle mamme in attesa. Decido di capire cosa fa una giovane al 6 mese di gravidanza per fare una visita ginecologica al centro lontano dal suo villaggio sperduto. Prende un taxi? Un tram? Un autobus? Magari! Qui non c’è nulla! Allora è scontato: la mamma e il suo pancione si mettono in cammino a piedi per 2, 3 o 4 ore verso il centro di salute delle suore.
Decido di farlo anch’io in compagnia di una futura mamma. È bellissima. Ha un abito turchese e un’acconciatura che io ci metterei tre giorni solo a disegnarla! Lungo la strada si uniscono altre mamme. Camminiamo. Camminiamo. Camminiamo. In fondo siamo solo in Africa: la temperatura è altissima ed io continuo a sudare, mentre loro sono perfette. Mi viene un dubbio atroce? Ma se una di loro dovesse avere le doglie? Oddio improvvisarmi ostetrica!!!! Meglio continuare a camminare e a soffrire il caldo, senza pensare ad altro.
Finalmente arriviamo al centro di salute. Sono sfinito. Suor Maria e le mamme sembrano tranquille ed essere arrivate lì con una macchina con aria condizionata. Neanche il tempo di prendere fiato che sento chiamare: è arrivata una mamma che sta per partorire.
Le chiedono se posso assistere al parto. Lei dice di sì. Allora tutti in sala parto! Sala parto?! Una stanzetta di qualche metro quadro senza luce. Suor Maria rompe le acque. Tengo la mano della mamma. Non so capire quanti anni abbia. Ha il volto sfigurato dal dolore. La bambina fa fatica ad uscire. Naturalmente nessuna iniezione epidurale! Nessuna ecografia! E poi come si potrebbe fare? Non c’è ecografo! Io sto lì, stringendo la mano della donna più che posso. Ma chi me lo doveva dire che avrei fatto nascere un bambino africano e non il mio ? Ci siamo! La mamma spinge ancora di più. Spunta la testa. Il bambino è nato, ma subito capiscono che non respira. Suor Maria l’afferra gli mette il velo sulla bocca per la respirazione bocca a bocca. Poi massaggio cardiaco e a testa in giù. Usciamo per fare lavorare meglio i medici. Rimango fuori, attaccato alla porta. Sento le lacrime che salgono. Le fermo. Chiamano un altro medico. Sono attimi angoscianti. Lì fuori abbiamo tutti una faccia terribile. Si apre la porta: respira! È stato rianimato. Ma non in una super sala di rianimazione non ce n’è: tutto a mano! Entro. La mamma sfinita abbozza un sorriso e il bambino, anzi la bambina (perché con tutto il casino non avevo capito neanche di che sesso era… )
Le giornate in Africa ..........passano così tra i villaggi, la gente, i bambini che ti rincorrono e corrono senza stancarsi mai, tra le canzoni popolari intonate dalle donne, piogge improvvise che sostituiscono le docce.
Ah, dimenticavo, dormivo in missione: il generatore si è rotto, quindi, senza acqua e luce per 48 ore. Ma torce e stelle bastano ad illuminare ciò che vale la pena guardare o anche solo immaginare.
È arrivato il momento di riprendere la piroga e di rientrare in Italia, riparto, ma so già che tornerò!
Ah naturalmente sono rientrato, non da solo, ma con due piccole uova nel collo che mi aveva lasciato una “bestia” pungendomi… ma anche questa è Africa!
( per contribuire sms solidale al n°45503 fino al 21 marzo)